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6 Marzo 2021Molto di più di quello che ci aspettiamo. “L’uomo è un animale sociale”, e vive costantemente immerso in un contesto di relazioni. Il nostro modo di rapportarci agli altri dipende fortemente dalle nostre esperienze infantili, e, già dal primo anno di vita, impariamo dalle figure principali che ci accudiscono, come si sta in relazione e utilizziamo tali rappresentazioni come modello per interpretare quelle successive.
“Anche se particolarmente evidente nella prima infanzia, il comportamento di attaccamento caratterizza l’essere umano dalla culla alla tomba”.
J. Bowlby
Questa è tra le più celebri citazioni di John Bowlby, padre della Teoria dell’attaccamento.
Le origini della Teoria dell’attaccamento
Bowlby sviluppò la sua teoria utilizzando principalmente gli studi etologici di Konrad Lorenz, le deduzioni di Harry Harlow, e la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin.
Lorenz dimostrò che anche animali non mammiferi, come anatre e oche, al fine di sopravvivere, sviluppano un particolare legame con il soggetto con cui hanno l’imprinting. L’imprinting è la memoria visiva delle caratteristiche del vivente dal quale si viene allevati. Ciò spinge il cucciolo a seguire la sua figura di accudimento, a non perderla d’occhio, e questo comportamento ha il valore evolutivo della sopravvivenza del piccolo e, di conseguenza, della specie.
Harlow, con i suoi esperimenti sulle scimmie, riuscì finalmente a spazzare via l’idea che il legame madre-bambino dipendesse solamente dal bisogno del piccolo di cibo. Propose a dei cuccioli di scimmia un sostituto materno di pezza e uno con un biberon sempre pieno di latte. Notò che tutte le scimmie passavano il loro tempo aggrappate al fantoccio di pezza e si spostavano sull’altro solo quando avevano fame. Scoprì così che il bisogno di sicurezza e protezione è molto più importante del ricevere nutrimento.
Purtroppo le piccole scimmie, a causa della separazione dalla madre, iniziarono a sviluppare comportamenti psicopatologici e a perdere interesse per le relazioni. Molte morirono nel giro di poco tempo. Ciò ha dimostrato l’importanza delle prime relazioni e la loro influenza nella vita adulta. Probabilmente Harlow sapeva che il bisogno della madre fosse importante, ma non si aspettava che fosse davvero fondamentale. Comunque in quegli anni partì una reazione a catena che ha portato a una vera e propria rivoluzione nella pedagogia e psicologia dello sviluppo. Prima, i bambini venivano considerati adulti in miniatura e non si conoscevano i loro bisogni. Addirittura circolavano idee (anche da parte di illustri pediatri) secondo cui bisognava limitare al massimo il contatto fisico con i bambini per non viziarli (idee che sento ancora oggi, ad esempio quella secondo cui i bambini si bacerebbero solo quando dormono). Anche se, a mio avviso, c’è ancora molta strada da fare, se hanno chiuso gli orfanotrofi e c’è stata la rivoluzione educativa e scolastica che conosciamo, lo dobbiamo alle conoscenze che si sono sviluppate da lì in poi.
La Teoria dell’attaccamento
Bowlby ha utilizzato queste conoscenze e le ha sviluppate nella sua Teoria dell’attaccamento. Ma che cos’è l’attaccamento? Si tratta di un sistema innato di regolazione del comportamento e delle emozioni che si definisce principalmente entro i primi 9 mesi di vita del bambino. In questa fase, tutti noi stabiliamo una relazione di attaccamento con l’adulto che maggiormente si prende cura di noi. Questa figura si chiama caregiver e di solito è la madre. In questo articolo utilizzerò il termine madre o caregiver indifferentemente per riferirmi alla figura adulta che si occupa primariamente di un bambino (nella realtà può essere un genitore, un nonno, un operatore di comunità per i bambini adottati…).
La relazione che si ha con il proprio caregiver diventerà poi un modello per tutte le relazioni successive. Determinate esperienze entrano nella nostra memoria e generano aspettative riguardo alle relazioni. La memoria di una madre fredda e assente, ad esempio, genererà l’aspettativa che tutti siano freddi e assenti con noi. Le rappresentazioni mentali del rapporto con il caregiver, in psicologia si chiamano modelli operativi interni.
Quindi il legame di attaccamento è quello che lega il bambino con la sua figura di accudimento principale. Mary Ainsworth, allieva di Bowlby, si rese conto che, già entro il primo anno di vita, c’erano molte differenze tra i comportamenti dei bambini che osservava e che questi erano fortemente correlati con lo stile di accudimento materno. I bambini che piangevano meno ed erano più sicuri avevano madri più attente ai loro bisogni. La Ainsworth ideò una situazione sperimentale per studiare la relazione madre-bambino chiamata “strange situation” e classificò gli stili di attaccamento dei bambini in 4 gruppi.
- I bambini con grande fiducia in sé e negli altri hanno un attaccamento sicuro. I propri bisogni vengono soddisfatti dalla madre che si dimostra aperta ed empatica e rappresenta per il bambino una base sicura.
- I bambini con attaccamento evitante ripongono fiducia solo in sé stessi, sono molto indipendenti, ma non si ritengono degni di amore. Tendono a non riconoscere i propri bisogni e fanno fatica ad analizzare il proprio mondo interiore. La figura materna di questi bambini è fredda e distaccata.
- I bambini con attaccamento ambivalente considerano sé stessi degni d’amore ad intermittenza. Tendono a non avere fiducia negli altri e a provare ansia di abbandono e rabbia. Quando la madre si allontana protestano, e al suo rientro manifestano un pianto inconsolabile. Le madri di questi bambini tendono ad essere incoerenti perché alternano momenti di negligenza a momenti di sensibilità e connessione emotiva.
- I bambini con attaccamento disorganizzato, non hanno una idea integrata e coerente di sé stessi e degli altri. I bambini disorganizzati hanno reazioni tra le più imprevedibili perché hanno una grande confusione circa la propria vita emotiva e non sanno riconoscere né comunicare i propri bisogni. Le madri sono estremamente passive, o spaventate o che spaventano.
Questa idea delle relazioni che si costruisce nell’infanzia viene mantenuta nel tempo e influenza tutta la nostra storia relazionale. Anche se le rappresentazioni del bambino si arricchiscono con gli anni (entrano in gioco tutte le altre figure educative come il padre, i nonni, gli insegnanti ecc.) la relazione con la madre diventa il principale modello per le relazioni successive, soprattutto quelle di coppia. Mary Main ha creato un’intervista semistrutturata che si chiama Adult Attachment Interview (AAI) per valutare lo stile di attaccamento negli adulti.
- I bambini con attaccamento sicuro, da adulti diventano capaci di instaurare relazioni affettive sociali equilibrate e basate sulla fiducia. Sono adulti che hanno un migliore riconoscimento dei bisogni dell’altro, maggiore empatia e buona autostima. Sanno comprendere i propri bisogni, comunicarli e chiedere aiuto invece di affrontare in solitudine situazioni angoscianti. Sono anche in grado di offrire supporto agli altri quando ne hanno bisogno e sanno costruire confini sani intorno a loro.
- I bambini evitanti crescono o isolati o eccessivamente socievoli. Tendono a sopprimere le proprie emozioni o ad esprimerne solo di false e positive. Nei rapporti di coppia tendono ad essere freddi e a evitare la condivisione di sentimenti col partner.
- I bambini con attaccamento ambivalente tendono, da adulti, ad esprimere in maniera esagerata le proprie emozioni e ad essere gelosi e possessivi nei rapporti di coppia. Spesso non colgono bene il reale significato dei comportamenti degli altri.
In linea generale possiamo dire che gli ex bambini sicuri, ambivalenti ed evitanti possono essere raggruppati in uno stile di attaccamento organizzato. Le differenze tra questi bambini fanno parte della variabilità individuale e non sono sinonimo di psicopatologia. Se guardiamo lo stile di attaccamento come suddiviso in due grandi gruppi che sono organizzato e disorganizzato possiamo dire che:
- I bambini con attaccamento sicuro, ambivalente, ed evitante, hanno uno stile più organizzato e quindi rischiano meno di ammalarsi di un disturbo mentale, e hanno in genere relazioni più soddisfacenti e durevoli.
- I bambini con attaccamento disorganizzato sono i più vulnerabili alla psicopatologia. Alcuni di loro invertono i ruoli con i propri genitori e se ne prendono cura, altri vedono il caregiver come terrificante, altri ancora alternano i due stati. Da adulti avranno più difficoltà ad instaurare relazioni amicali e sentimentali positive e gratificanti. Spesso sviluppano comportamenti aggressivi, distruttivi, violenti o di sottomissione. Questi bambini sono i candidati che con più probabilità svilupperanno in futuro disturbi di personalità.
Lo stile di attaccamento del bambino ha una fortissima correlazione con quello della madre. Ciò vuol dire che se noi abbiamo uno stile di attaccamento poco sicuro, molto probabilmente trasferiremo lo stesso repertorio di memorie e aspettative ai nostri figli.
Vari eventi di vita, altre figure relazionali importanti, o una psicoterapia, possono modificare lo stile di attaccamento che avevamo da bambini.
L’importanza del soddisfare i bisogni
Jeffrey E. Young, che ha sviluppato il filone psicoterapeutico della Schema Therapy riconosce che ogni essere umano nasce con una serie di bisogni emotivi fondamentali che sono innati e uguali per tutti.
Young schematizza i bisogni emotivi fondamentali in cinque gruppi:
- Bisogno di attaccamento sicuro che comprende sicurezza, stabilità, accudimento e accettazione;
- Bisogno di autonomia, competenza e senso di identità;
- Bisogno di limiti realistici e autocontrollo;
- Libertà di esprimere i propri bisogni e le proprie emozioni;
- Bisogno di spontaneità e gioco.
Ogni bambino poi possiede un temperamento che è diverso per ognuno e l’interazione tra l’ambiente familiare in cui inserito e il temperamento determinerà il soddisfacimento o meno dei suoi bisogni emotivi di base. Durante l’infanzia noi rispondiamo allo stile familiare adattandoci ad esso tramite degli schemi che influenzano tutta la vita e che da adulti possono rivelarsi adattivi o maladattivi. Per diventare adulti equilibrati non è necessario avere un’infanzia perfetta, basta che sia “sufficientemente buona” come direbbe Winnicott. La Schema Therapy è un trattamento psicoterapeutico che mira a modificare gli schemi disfunzionali e a soddisfare in modo adattivo i bisogni emotivi fondamentali del paziente.
Come fa la psicoterapia a modificare lo stile di attaccamento e gli schemi disfunzionali?
Se una società vuole veramente proteggere i suoi bambini deve cominciare ad occuparsi dei genitori
John Bowlby
Lo stile di attaccamento si può modificare anche in età adulta. In questo caso si parla di attaccamento sicuro guadagnato. Per modificare lo stile di attaccamento non basta studiare manuali di auto-aiuto o essere consapevoli. Quello di cui c’è bisogno è di sperimentare in vivo esperienze di relazione positive che diano la certezza della base sicura che è mancata da bambini.
La psicoterapia rappresenta la più alta forma di “esperienza emozionale correttiva” perché è così potente da generare il cambiamento che si desidera. All’interno della relazione terapeutica, il paziente mette in atto tutti i suoi circoli viziosi di tipo relazionale, ricevendo dal terapeuta risposte diverse da quelle che normalmente conseguono i suoi comportamenti, e riflettendo su di essi, con il tempo apprenderà nuove modalità di interpretazione delle relazioni e di azione più funzionali e sicure. Ci sono poi varie tecniche, soprattutto di tipo immaginativo, che permettono la rielaborazione di vissuti dolorosi e/o traumatici, ma esse hanno senso e danno il massimo risultato quando sono inserite in un contesto relazionale di fiducia e di alleanza tra terapeuta e paziente.
Tecniche immaginative, conoscenza e riflessione sui propri cicli interpersonali, e relazione terapeutica rappresentano il connubio perfetto che permette al paziente di rievocare le memorie dolorose e contemporaneamente avvertire l’esperienza sensoriale di un attaccamento sicuro, fatto di sintonizzazione e sicurezza, quindi a livello neurobiologico si permette di creare nuovi collegamenti tra parti del cervello dissociate e modificare così il finale della storia.
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