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29 Settembre 2020“Pazzia” e “follia” sono termini di cui spesso si abusa, ma il cui significato in realtà è piuttosto vago oltre che offensivo e superato. Sarebbe invece più corretto parlare di “disturbo mentale”, concetto che racchiude un insieme di patologie molto diverse tra loro che possono avere entità lieve ed essere molto comuni, fino ad arrivare a quelle più gravi e invalidanti.
- Parliamo di disturbo mentale e di Psicopatologia
- Ma follia e disturbo mentale sono sinonimi? Cosa abbiamo risolto cambiando il termine?
- Quindi a questo punto la domanda sorge spontanea. Se la follia non esiste, che cos’è il disturbo mentale?
- Come ci si ammala di un disturbo mentale?
- Qual è la responsabilità individuale quando ci si ammala di un disturbo mentale?
- Se il medico non mi indirizza ad uno psicologo?
- A chi mi devo rivolgere se penso di avere un disturbo mentale?
- Devo avere per forza un disturbo per intraprendere una psicoterapia?
- Quali sono i disturbi mentali più comuni?
Parliamo di disturbo mentale e di Psicopatologia
Il concetto di disturbo mentale è stato per anni associato a quello di “pazzia”, “follia” e “manicomio”. Ancora oggi, dire ad una persona che ha perso per un momento le staffe: “sei matto!” è tipico del nostro linguaggio quotidiano. Allo scopo di umiliare l’altro, o di correggere il suo comportamento, si usa spesso la definizione di persona “con le rotelle fuori posto”, o a cui “ha dato di matto il cervello”. Il termine folle (dal latino follis: pallone gonfio d’aria) sta quindi ad identificare in modo dispregiativo una persona bizzarra, che manifesta le emozioni in maniera eccessiva, ma soprattutto dotata di poco senno o di criterio di giudizio.
Il fatto poi di associare la “follia” così spesso ad eccessi di rabbia (e gli appellativi come “pazzo furioso” e “matto da legare” ne sono un esempio) non è un concetto che nasce in psicologia né in psichiatria, ma ha radici ben più lontane: la nostra cultura cristiana che tendeva ad associare gli eccessi di rabbia alla persona indemoniata, quindi pericolosa, imprevedibile e da tenere a debita distanza.
Nel XVII secolo la psichiatria si sganciò dalla religione e così anche il legame tra follia e possessione diabolica. Per molto tempo però, la cura che veniva offerta al malato mentale era di fatto l’internamento poiché veniva considerato inguaribile. La legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi è arrivata in Italia ben oltre 40 anni fa. Ma, nonostante ciò, tali concetti sono davvero difficili da spazzar via.
Nei manuali di psicologia e psichiatria né il termine “follia” né “pazzia” ad oggi compaiono. Quindi parleremo piuttosto di disturbo mentale o di psicopatologia.
Il frutto della confusione terminologica e della scarsa conoscenza all’interno della cultura popolare della psicopatologia non fa che aumentare un’unica cosa: lo stigma e la demonizzazione (giusto per restare in tema) di tali problematiche che, tra l’altro, sono molto più comuni di quanto si pensi. Tra le prime cose che mi chiedono i pazienti c’è il voler essere rassicurati sul fatto di non essere “pazzo” perché il termine si correla a tutte quelle reminiscenze culturali appena citate. La verità è che il termine follia è fuorviante e non esiste più.
Ma follia e disturbo mentale sono sinonimi? Cosa abbiamo risolto cambiando il termine?
Follia e disturbo mentale non sono sinonimi proprio perché il primo termine è ancora legato alla vecchia concezione di pazzia alla quale ho accennato. Il disturbo mentale è un concetto moderno, in cui sono racchiuse tutte le scoperte che la psicologia e la psichiatria hanno fatto negli ultimi anni.
Quindi a questo punto la domanda sorge spontanea. Se la follia non esiste, che cos’è il disturbo mentale?
Sfatiamo subito un mito: tra la normalità e la patologia mentale esiste una differenza solo quantitativa.
Questo concetto è davvero rivoluzionario perché implica che i temi di sofferenza sono gli stessi per tutti. Probabilmente due, come pensava Shakespeare: “l’orgoglio ferito” e “l’amore non corrisposto”. Chi non ha mai sofferto per almeno uno di questi motivi?
La variabilità individuale sta nella reazione soggettiva che abbiamo verso questa sofferenza, come ci poniamo di fronte ad essa, come interpretiamo le situazioni, che reazioni emotive e quali comportamenti scaturiranno in reazione, e soprattutto in che intensità, frequenza e durata.
Quindi possiamo affermare che tutti noi, nel corso della nostra esistenza, in varia misura, manifestiamo sintomi, ad esempio di natura ansiosa o depressiva, che in caso di scompenso potrebbero sfociare in forme di psicopatologia.
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) si esprime così:
“Un disturbo mentale è una sindrome caratterizzata da un’alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o del comportamento di un individuo, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale. I disturbi mentali sono solitamente associati a un livello significativo di disagio o disabilità in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. Una reazione prevedibile o culturalmente approvata a un fattore stressante o a una perdita comuni, come la morte di una persona cara, non è un disturbo mentale.
Comportamenti socialmente devianti (per es., politici, religiosi o sessuali) e conflitti che insorgono primariamente tra l’individuo e la società non sono disturbi mentali, a meno che la devianza o il conflitto non sia il risultato di una disfunzione a carico dell’individuo, come descritto precedentemente.”
Parafrasando le parole del DSM-5:
- si parla di disturbo mentale quando la persona presenta un insieme di sintomi di una certa rilevanza clinica che investono la sfera dei pensieri, delle emozioni o dei comportamenti. Ciò dipende da una disfunzione di alcuni processi che regolano il funzionamento della nostra mente. Il disturbo mentale ha conseguenze che si riflettono in maniera significativa in ambiti importanti della vita come quello sociale e lavorativo.
- Non si parla di disturbo mentale quando si manifestano reazioni tipiche della cultura di appartenenza a seguito di fattori stressanti o di una perdita, né in presenza di comportamenti socialmente devianti se non ci sono le condizioni del primo punto.
Secondo il paradigma cognitivo-comportamentale, per parlare di psicopatologia c’è bisogno che ci siano dei meccanismi disadattivi che riguardano il rapporto di pensieri, emozioni e comportamenti. Tali meccanismi alterati generano sofferenza soggettiva. In modo particolare, all’interno della mente di una persona che soffre di disturbo mentale ci sono delle valutazioni cognitive definite “disfunzionali” perché:
- producono sofferenza;
- allontanano la persona dai suoi scopi;
- tendono a mantenersi nonostante siano inefficaci.
Mi preme sottolineare che gli studi sul ragionamento non hanno evidenziato differenze tra persone con disturbi mentali e persone “sane” per ciò che riguarda le capacità logiche. Questa è un’ulteriore conferma del fatto che il termine “folle” inteso come persona fuori di senno sia estremamente fuorviante e diverso dalla concezione odierna di psicopatologia. Ogni disturbo mentale ha una sua logica interna e cambia rispetto alla “normalità” solo per aspetti quantitativi.
Secondo il concetto espresso da Baron di utilità pragmatica non è importante che la credenza del soggetto sia aderente o meno alla realtà, un meccanismo diventa disfunzionale non perché è falso ma perché porta a un fallimento nel raggiungimento dei propri scopi. Ad esempio, una persona “X” con disturbo d’ansia sociale incontra un conoscente “Y” per strada che non ricambia il saluto. Subito X penserà che Y non ha voluto salutarlo perché lo considera antipatico o noioso e la volta successiva tenderà ad evitare il suo sguardo. Non sappiamo se Y non ha salutato X perché era sovrappensiero, perché non l’ha visto, o perché davvero lo considera antipatico, ma il fatto che X dia credito a quest’ultima interpretazione non farà altro che alimentare il meccanismo di funzionamento dell’ansia sociale perché indurrà in X un comportamento di evitamento che è controproducente e che si presta ad essere mal interpretato da Y. Se lo scopo di X è evitare la solitudine, di fatto tramite la sua interpretazione e il suo comportamento è andato nella direzione opposta al suo scopo.
Come ci si ammala di un disturbo mentale?
Trai modelli più accreditati c’è il biopsicosociale di Engel. Una malattia (anche fisica) quindi sarebbe la conseguenza di una disfunzione che interesserebbe variabili biologiche (e genetiche), psicologiche, e sociali.
Posta come vera questa teoria:
Non ci sarebbe nessuna sofferenza che abbia origini esclusivamente fisiche o psichiche.
Capita molto spesso di trovare disturbi quali gastriti, colon irritabile, ovaio policistico, endometriosi, cefalee e molto altro, presentarsi in comorbilità ad esempio con disturbi d’ansia, depressivi o di personalità. Ci sono dei disturbi mentali che predispongono il soggetto ad ammalarsi di patologie fisiche. Ad esempio, la depressione non curata aumenta la probabilità di ammalarsi di demenze senili come la malattia di Alzheimer.
Ognuno di noi presenta delle vulnerabilità individuali che possono derivare da variabili biologiche, psicologiche e sociali. Tali vulnerabilità sono in parte innate e legate al temperamento, in parte dovute all’ambiente in cui viviamo, in parte conseguenza di esperienze significative della nostra storia di vita. L’incontro del temperamento, con le esperienze di vita causa delle reazioni soggettive alle stesse, che modificano l’ambiente sociale, che a sua volta interagisce e plasma la personalità dell’individuo. Arriva poi un momento di scompenso in cui l’interpretazione soggettiva di alcuni eventi vissuti come particolarmente stressanti fa scattare una molla e sopraggiungere un disturbo.
La mancata conoscenza del vocabolario emotivo, la cultura che demonizza i disturbi mentali (senza conoscerli), la comune ignoranza sull’abc della psicologia, non sono altro che meccanismi che alimentano lo sfociare di scompensi psicopatologici e la mancata cura degli stessi finché non si cronicizzano.
Qual è la responsabilità individuale quando ci si ammala di un disturbo mentale?
La stessa rispetto a quando ci si ammala di una malattia fisica.
Qualcuno di è mai sognato di accusare un cardiopatico di essere causa della propria malattia? Non penso. Al massimo al cardiopatico si può incriminare il fatto di non aver mantenuto uno stile di vita adeguato, una sana alimentazione, di non aver fatto sport, di essersi dedicato troppo al lavoro e poco allo svago, di non essersi curato adeguatamente e/o in tempo. In psicopatologia vale lo stesso discorso.
Se il medico non mi indirizza ad uno psicologo?
Capita davvero troppo spesso. Quante volte è capitato di avere bisogno di uno specialista ma il medico di medicina generale non l’ha suggerito? Lo stesso avviene nell’ambito della salute mentale. Quante volte poi la mia diagnosi e la mia cura cambiano a seconda dello specialista a cui mi rivolgo? Per una “semplice” acne posso rivolgermi ad un dermatologo e mi darà una diagnosi ed una cura, ad un endocrinologo e mi darà un’altra diagnosi e un’altra cura, e, se sono donna, ad un ginecologo con la terza diagnosi e cura. La falla della medicina odierna è l’iperspecializzazione, necessaria per la mole di conoscenza medica che abbiamo raggiunto, ma in molti casi limitante. È per questo che è importante per le figure sanitarie specialistiche avere una mente aperta alla conoscenza e alla collaborazione, saper guardare alle problematiche tramite l’utilizzo di un approccio olistico, ma anche per il paziente saper ricavare le fonti di informazione della propria problematica. Noi siamo i migliori esperti di noi stessi in fondo.
A chi mi devo rivolgere se penso di avere un disturbo mentale?
Le figure professionali che si occupano di salute mentale, sono lo psicologo, lo psicoterapeuta, lo psichiatra e il neuropsichiatra infantile. Ho parlato qui della differenza tra le varie figure.
Il trattamento dei disturbi mentali più comunemente prevede solo la psicoterapia o, in alcuni casi, la combinazione di questa con psicofarmaci.
Devo avere per forza un disturbo per intraprendere una psicoterapia?
Secondo l’O.M.S. la salute è “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o infermità”. Pertanto, la psicoterapia è molto proficua in assenza di psicopatologia, quando l’obiettivo è il raggiungimento di uno stato di completo benessere psicologico e di soddisfazione di vita.
Quali sono i disturbi mentali più comuni?
In Italia e nel mondo, i disturbi mentali sono in rapido aumento. I più comuni sono:
- Disturbi Depressivi (15% della popolazione per il disturbo depressivo maggiore)
- Disturbi d’ansia (ansia generalizzata, disturbo di panico, ipocondria, fobia specifica, ansia sociale)
- Disturbo ossessivo-compulsivo (2-2,5% della popolazione)
- Disturbo post-traumatico da stress
- Disturbi dell’alimentazione
- Disturbi del sonno
- Psicosi e Schizofrenia
- Disturbi Bipolari
- Disturbi di Personalità (paranoide, schizoide, schizotipico, antisociale, borderline, istrionico, narcisistico, evitante, dipendente, ossessivo-compulsivo).
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è al mondo la più studiata. Ad oggi ci sono una moltitudine di rigorose ricerche che ne valutano l’efficacia (evidence-based).
Se vuoi saperne di più sulla psicologia e psicoterapia visita le F.A.Q.